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così calmo e soave nell’illusione di lattee pianure vanescenti nell’azzurro. La primavera operava soavemente un miracolo nell’anima sua, lasciandole però ancora un senso di melanconia infinita, specialmente quando vagava per i piccoli viali del giardino, e nella sera che avanzava un po’ nebbiosa e tiepida, sentiva le prime fragranze delle rose, quei profumi roridi e profondi che sono la silenziosa musica della primavera. Nel giardinetto, intorno intorno ai muri di granito, s’aggiravano splendidi rosai, fra cui sognavano sempre le rose rosse e vellutate di ogni mese, sostenute da grosse canne fresche e gialle sfumate di pavonazzo. Nel mezzo del giardinetto s’ergeva una specie di peristilio di passiflore e di edera, sostenuto da una colonna di granito chiaro, su cui strideva continuamente, aggirandosi su sè stessa, una banderuola di ferro rosso.

Dal peristilio, dolce luogo di fantasie, che Elena amava, partivano quattro piccoli viali, che andavano a finire nel viale largo, svolgentesi intorno al giardinetto. Peschi, albicocchi e ciliegi dalle foglie vermiglie, meli e giuggioli, su cui s’arrampicava la vite, formavano i graziosi e pittoreschi pergolati del piccolo eden; fiori rari e delicati crescevano sui rozzi vasi sardi di creta; nessun ordine regnava, e tra le rose s’ergeva l’oleandro ed il lauro, l’uva spina, la robinia e il gelsomino, così ch’era una siepe intricata, un trionfo di verzura esultante al sole