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Verso l’una Alessio, che pure s’era addormentato pensando ad altro, sognava d’essere nell’ovile della montagna. A un tratto vide Cicchedda correr disperata verso di lui, inseguita da un pastore che le gridava: — Ti uccido, ti uccido!... Mi hai rubato il porchetto! — Salvami, salvami, Alessio Piscu! — gridò ella. Avea i bei capelli biondi sciolti, e Alessio, che col suo gusto di paesano civilizzato e raffinato amava assai quei capelli, fu assalito dalla subitanea passione che sempre provava accanto a lei: quindi la salvò con entusiasmo, accogliendola fra le sue braccia; e senza darsi pensiero del pastore, cominciò a baciarla appassionatamente, pensando:

— Ma che ciocco ero io a non corrisponder prima a questa ragazza!

Però la ragazza pareva pensarla diversamente, perchè si mise a gridare e per difendersi brandì un paio di forbici e gliele passò in fronte.

Ei si svegliò rabbrividendo, e sulle prime credè che il sogno continuasse: in un filo di luce, che penetrava per la porta semiaperta, vide la fanciulla sognata china su lui, e sentì che gli tagliava i capelli. Provò una strana sensazione di spavento, di stupore e piacere; i polsi gli tremarono, ma rapidamente percepì la realtà e pensò che Cicchedda gli rapisse i capelli per comporne qualche filtro amoroso, e sentì svanire il suo spavento più fisico che morale.