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sentiva cose ignote ed amare, e il pensiero di lui non bastava a calmarla.

— Stanotte entrerò — pensava. — Stasera dobbiamo lievitare il pane; a mezzanotte io devo levarmi per rimescolare la pasta; Costanza resta a letto, ed io entro....

Ma pensando così gli occhi le si smarrivano come dietro una visione apocalittica. Una volta singhiozzò e pensò eroicamente: — Me ne vado, me ne vado; mi vogliono persino in casa Bancu e mi pagano meglio di qui. Cosa ci faccio io qui? Se resto ancora divento pazza!...

Per qualche istante, passando la farina nel vaglio, accarezzò la buona idea. Ma come poteva andarsene, se la sua vita era attaccata ad ogni angolo, ad ogni oggetto della casa? Come poteva abbandonare, oltrechè le persone, gli animali che amava intensamente? Come poteva viver senza veder l’asinello, la cavalla d’Alessio, il cavallo di zio Salvatore, il gallo, le galline, il cane e i gatti? Amava il fico, il pozzo, la mola, sorrideva ad ogni cantuccio della casa; tutti gli oggetti, dal paiolino alle forbici, le parlavano un linguaggio speciale. Come poteva viver senza veder ogni giorno i verdi uccelli scintillanti nei piatti, senza macinare il caffè nel macinino di ferro, il cui rumore la invitava a cantare, senza attinger acqua dal pozzo stretto ed oscuro, con la pesante secchia, senza spazzare il cortile grigio e freddo, senza chiuder il portone, la cui serratura