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una schiava, soffriva tutte le pene e le umiliazioni possibili, e avrebbe ogni giorno dato un anno della sua miserabile vita, per quello sguardo e quel sorriso.
Tante volte aveva pensato di confidare ad Alessio le sue pene, la persecuzione di Costanza unita a quella di zio Salvatore. Pensava anche di pregarlo di darle anche una ciocca dei suoi capelli, per comporre la magica bevanda; e dopo questa decisione si sentiva tranquilla, quasi allegra; ma arrivato il momento di parlare si vergognava, arrossiva d’averci persino pensato.
E la magia era più che mai necessaria, occorrendo anche per Costanza, che ella credeva innamorata di Alessio; ma appunto per la sua muta ed astiosa sorveglianza, la faccenda riusciva impossibile.
Di rimpetto alla camera delle ragazze, per una porta che s’apriva e chiudeva col semplice segreto d’un saliscendi manovrato da una cordicella, c’era una stanzetta ove eran riposti tutti gli utensili per fare il pane: di là s’entrava nella camera d’Alessio, la cui finestra dava sul cortile.
Egli dormiva a porta aperta, e era facile introdursi da lui e, durante il sonno, tagliargli i capelli; ma a Cicchedda riusciva impossibile levarsi di notte, perchè Costanza la vigilava, e chiudeva la loro porta tenendosi la chiave.
Ma una sera si decise.
Si era agli ultimi dell’anno. Alessio e zio Sal-