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pagava la diceria, ma in fondo si sentiva felicissima di tale domanda.
Circondava Alessio di cure e di gentilezze; davanti a lui si mostrava operosa e prudente, savia ed accorta, e benchè egli pensasse a tutt’altro che a corteggiarla, sperava assai.
Ma un giorno s’accorse dei grilli che Cicchedda aveva per la testa, e se ne indispettì, e cominciò a esserle ostile. L’avrebbe mandata via a spintoni cento volte al giorno, se non fosse stata la protezione che ora la ragazza godeva di Agada Brindis e dello zio Salvatore.
Nonostante certe sue malignità, Agada era troppo fatta all’antica per accorgersi di certe cose, e il padrone restava sempre fuori di casa; d’altronde, la condotta di Cicchedda pareva irreprensibile: ella era d’un tratto diventata seria e pensierosa, lavorava alacremente sopportando con pazienza la persecuzione di Costanza. Ogni volta che Alessio tornava dalla campagna, ella, che riconosceva da lontano il passo della cavalla, prendeva Domenico in braccio e usciva sulla via: appena sull’angolo della viuzza spuntavano le orecchie nere della cavalla, il bimbo agitava le piccole braccia, e il volto di lei s’illuminava. Andava incontro al giovane e gli porgeva il bimbo, che strillava di gioia; e Alessio, mettendo Domenico sul davanti della sella, le diceva qualche buona parola, e le sorrideva, guardandola profondamente. Ella lavorava come