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glia, del dubbio e infine dell’ilarità più clamorosa.

Salvatore si abbandonò sui guanciali, su cui s’era un po’ sollevato per legger meglio, e stringendo la lettera in mano aprì le braccia e cominciò a ridere, a ridere come uno stolto, d’un riso allegro, pieno, clamoroso e insolente. Da molto tempo Agada non l’aveva veduto rider così, e subito ebbe l’idea stravagante e paurosa che fosse impazzito per la gioia.

— Fammi veder la busta — disse Salvatore, ed essa gliela diede.

Era una busta lunga, bianca e ruvida, su cui era scritto:

«Al Signor Salvatore Brindis, Propriet.

(Italia)
Nuoro (Sardegna).»


Salvatore si rimise a ridere clamorosamente: non pensò neppure di rimproverare la moglie perchè s’era permessa di aprir la lettera e di mostrargliela così in ritardo tanto la casa gli sembrava ridicola, e tanto Agada era avvezza a far il comodo suo in certi affari.

— È proprio indirizzata a me, a Salvatore Brindis, che il diavolo vi tiri il collo! Cosa vuol dire questo propriet., cosa vuol dire?

— Proprietario forse — disse Agada.

— Ah, proprietario! ah, proprietario! gridò Salvatore, e rideva da far tremare tutto il letto.