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ed estraendosi una spina dal piede, come se n’estraeva una dal cuore. — Io non so perchè il padrone e Costanza mi parlino sempre così male. Non faccio forse il mio dovere? Li offendo io?
— Tu pure sei linguacciuta.
— Linguacciuta! Linguacciuta! Quando mi rompono la pazienza! Altrimenti non molesto nessuno. Io vi do l’anima e il corpo, e voi, anzi voi no, ma Costanza mi tratta e mi parla così male! Mi dispiace perchè alla fine non sono più una ragazzina. Pare che non siate più contente di me! Potete dirmelo e me ne vado, non c’è bisogno di parlarmi male, e mettermi in caricatura. Sono come Dio mi ha fatta!
— Sei anzi una bella ragazza — disse Agada per lusingarla. — Prima non dico, ma ora....
— Bella o brutta, poco importa! Io riconosco tutto il bene che mi avete fatto, ma non c’è bisogno che nessuno mi rinfacci il modo con cui m’avete raccolta! L’elemosina l’han chiesta persino dei re, e la povertà non è viltà. Del resto, nel mondo nessuno deve fidarsi, perchè chi non ha mendicato da giovine, può farlo in vecchiaia. Eh, non guardatemi così, non dico per voi! Quello che più mi dispiace — aggiunse dopo un momento d’esitazione — è che mi prendono per una ragazzina, e dicono che ho le gambe di rana!
Agada rise suo malgrado.
— E poi — disse infine Cicchedda, mettendosi un dito in bocca e sfregando un po’ di saliva