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chedda; si bisticciarono, e se ne dissero di cotte e di crude. Ora la servetta rispondeva, s’inalberava ad ogni osservazione, assumeva un contegno stravagante; non lavorava più con la muta rassegnazione di prima, e perdeva in bontà e pazienza quanto sembrava acquistasse in intelligenza e bellezza. Eseguiva ancora e puntualmente le sue faccende, ma guai a dirle una parola di rimprovero. E ora Agada temeva di perderla; avendole la sua coscienza suggerito finalmente che il lavoro della fanciulla meritava un compenso, le assegnò cinque lire al mese, ma siccome sapeva, a tempo opportuno, fare della speculazione, un giorno tenne a Cicchedda questo discorso:

— Senti. Tu ora sei una ragazza che deve comportarsi con decoro e decenza....

Cicchedda lo sapeva di già, e fece una graziosa smorfia.

— ....ora, allorchè vai in chiesa, occorre che sii vestita di tutto punto, con le scarpe....

— Le ho!

— ....e il corsetto allacciato....

— Mi pare che non mi abbiate mai veduta in chiesa col corsetto slacciato!

— Eh, non ci vai molto in chiesa!

— Perchè non mi lasciate andare.

— No, perchè ti piace andar in giro. Ma lasciamo ciò. Dunque bisogna che tu sia decente, che li procuri il giubbone e la tunica.