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— Non si dice così a zia, non si dice così!

Rientrando, Alessio trovò le donne che ridevano ancora, ma egli non rise, udendo i prodigi di Domenico, che, legato un filo alla zampina dell’uccello, cercava di farlo svolazzare. Gli si volse serio, e disse:

— Ripeti davanti a me le parole dette a zia Agada! — Domenico chinò la testina. — Chi te le insegna queste belle cose? Cicchedda forse?

Cicchedda arrossì e chinò anch’essa il capo. Alessio conchiuse:

— Se provi a dirle un’altra volta guai!

— E non ha detto che più di me, di Costanza e di te vuol bene a Cicchedda! — disse Agada con finta serietà.

— Sì, sì, vi piaccia o non vi piaccia, è così! — gridò Domenico con la vocina stridente.

Una risata alta ed allegra partì dal fondo della cucina, dove Cicchedda appendeva la sella ad un chiodo, e Domenico, temendo che il babbo lo picchiasse, si rifugiò laggiù tirando il filo del passerotto.

Ma il babbo pensava a tutt’altro che a picchiarlo: si sentiva anzi altero per la sua vivacità, e l’attribuiva a svegliatezza di mente: voleva però educarlo bene, e s’adirava sul serio quando il bimbo ripeteva inconsciamente certe impertinenze insegnategli da Salvatore Brindis, che ne rideva a più non posso. In Alessio era