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— Salvatore, — disse richiudendo la porta senza far rumore — ho da dirti una cosa.
— Eh? Cosa? — esclamò egli alzando la faccia, più rossa del solito per lo sforzo che faceva chinandosi sul catino dell’acqua.
— Una cosa bella!... — rispose la moglie, fissandolo negli occhi come per chiedergli: non ti metti in curiosità?
Ma egli restò indifferente, e traendo dall’acqua il piede bianco e velloso si mise ad asciugarlo tranquillamente.
— Aspetta, aspetta; mettiti a letto prima — disse Agada rimboccando le coperte rosse del letto. Le sembrava che Salvatore fosse impaziente di sentire il segreto, mentr’egli, invece, si spogliava senza chiederle nulla.
Davanti al letto c’era a modo di tappeto un piccolo sacco di lana, a righe nere e grigie; e l’antico talamo sardo, di legno nero scolpito, a baldacchino, ma privo di cortine, aveva intorno ai piedi, per tutti i quattro lati, un volante di percalle a quadrati rossi e bianchi. Sulle pareti bianche della vasta camera pendevano molti quadretti a vivi colori; vicino al capezzale un mazzo di rosarii, un cero benedetto, una croce di palma, un ramo d’ulivo, un crocifisso e tanti altri oggetti sacri custodivano i sonni di Agada e Salvatore contro le tentazioni e i malifizi del demonio.
Sopra un tavolino accanto al letto, coperto da un antichissimo tappeto sardo di tela di lino,