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parve sottomettersi al comando imperioso; anzi tremò e si acquietò.
— Eh — disse, come parlando in sogno — tiragli un morso al piede sinistro!
Cicchedda rise, per la volgarità e la difficoltà della ricetta, e intanto si pose a sedere su una seggiola sfondata, guardando pietosamente la misera stanza.
— È impossibile, cosa mi venite a dire? state per impazzire? Pensateci bene, è una sciocchezza! Sarei curiosa io, mordendogli il piede! E poi non è uomo da lasciarsi fare simili faccende. Alzerebbe lo stesso piede, e mi scaccerebbe da casa sua. Ed io non voglio andarmene, ora specialmente che la padrona mi ha promesso cinque lire al mese. Cinque o sei, lo vedremo poi. Avanti, dite. Qualche bibita, meglio, qualche scongiuro.
— Ah, giusto, una bibita! — rispose la maga.
— Gettagli nel vino un po’ di capelli bruciati.
— Null’altro?
— Nulla.
— Ma di chi?
— Della persona a cui vuol più bene.
— Alessio! — gridò fra sè Cicchedda, pensando istantaneamente ch’era una cosa difficilissima averne i capelli. Ripetè:
— Nient’altro?
— Nulla, nulla.
— Ah, ora — disse poco dopo — guardate