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— Buona roba questa! — disse la sorda toccandoglielo.
— Eh, dicevo io!
Intanto Cicchedda, salita speditamente dalla maga, la toccava e le gridava:
— Zia Marta, zia Marta! Come state, non mi riconoscete? Sono Cicchedda, sono vostra nipote. Come siete invecchiata!
La maga, un momento immobile, muta e stecchita, riprese a batter forte il piede e la mano destra: diede dieci o dodici pugni al letto, poi molinò in alto il braccio, e se Cicchedda non si fosse tirata indietro, l’avrebbe colpita in viso. Ripresa dalle convulsioni, ricominciò a ringhiare, imprecando.
— Zia Marta — disse Cicchedda cogliendo il momento — sono vostra nipote, e sono venuta a farvi una domanda. C’è una persona che mi vuol male e mi sta sempre insultando. Ogni giorno. Cosa devo fare perchè non m’insulti più?
— Va al diavolo! — gridò la maga. — Va al diavolo!
— Andateci voi! — gridò Cicchedda. — Voglio che mi rispondiate. Eh, non siete con quella nuorese, ora, siete con me, con Cicchedda Brontu, vostra nipote. Rispondetemi, altrimenti vi batto!
— Bisogna far così, poveretta! — pensò. — Con la minaccia di batterla il piccolo risponde. Altrimenti no.
Infatti, per un fenomeno suggestivo, la maga