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ma con gran freddo in cuore. Arrivata all’altezza della porta la spinse, e guardò prima di entrare. Era una stanzetta sotto il tetto, con un vecchio e misero letto di legno, un’arca antica, una brocca per terra, e tele di ragni negli angoli.

Aguzzando gli occhi Costanza vide, per la porta socchiusa, la maga coricata nell’attigua cameretta: era vecchia e pareva dormisse.

— Ho paura, ho paura! — pensò la fanciulla, tremando davanti al mistero, che l’idea del peccato rendeva più profondo: ma entrò egualmente, lasciando le porte aperte.

Guardò curiosamente ed a lungo la maga immersa in una specie di sonno catalettico; vestiva di nero, scalza e lacera, magra e dalla pelle bruciata; il volto però, contornato di capelli bianchi, raccolti entro una lunga cuffia nera, era chiaro, pallido, con lineamenti simpatici e profonde occhiaie violacee.

Costanza si rinfrancò, ma infastidita dal suo sonno, tornò sulla porta della prima stanza, e chinandosi disse:

— Dorme.

— Eh, aspetta finchè cominci a parlare; poi interrogala subito — le disse Cicchedda.

Ella chiuse la porta e ritornando presso il giaciglio della maga le vide, con nuovo terrore, il collo magro e nero gonfiarsi lentamente, e le sue mani contorcersi.