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vide che la filatrice era sorda; credendola la maga, fece una smorfia, ma Cicchedda disse:
— È la sorella di zia Marta.
A furia di gesti la servetta riuscì a farsi riconoscere, ed a spiegare il motivo della visita.
— Dov’è zia Marta? — gridò accostando la bocca e le mani all’orecchio della sorda.
La donna, che guardava fissamente Costanza, sorridendole, additò in fondo al cortile una casetta ad un piano; bisognava arrampicarsi su una vecchia scala a piuoli per arrivare ad una porta che s’apriva quasi sotto il tetto.
La sorda fece capire che la maga, invasa dagli spiriti, era lassù.
— Da molto? — domandò Cicchedda additando la casetta.
— Da poco.
— Presto, Costanza, sali per la scala ed entra. Quando stanno per venirle gli attacchi zia Marta ha cura di ritirarsi là.
Ma Costanza esitava, e domandò guardando la porta:
— Ma è aperta? Non può cadere di là?
— È in una stanzetta attigua. Va.
— Ho paura — disse piano Costanza.
— Che sciocca! Non ti farà nulla. È una vecchia che un pugno può atterrare.
— Ma gli spiriti? — Quasi tremando Costanza s’avviò verso la scala, e mentre Cicchedda gliela sosteneva, s’arrampicò lesta, fingendo di ridere,