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Salvatore Brindis apparteneva alla razza dei principali; possedeva bestiame, la casa dove abitava, una tanca nella montagna, un vasto terreno chiuso, con elci e pascoli estivi, e un podere nella valle, ed anche un cavallo famoso, grasso e robusto come il padrone. Le rendite gli permettevano di viver nè bene nè male; ma siccome egli preferiva viver bene, aveva anche debiti molto fastidiosi, pasture non pagate e una cambiale nella Banca Agricola.
Visitava spesso i suoi possedimenti, specialmente l’ovile, ma buona parte del suo tempo la passava in città, occupandosi più degli altrui che dei proprii affari. Camminava tutto il santo giorno, e siccome calzava stivaletti signorili un po’ stretti, i piedi gli sudavano in un modo orribile; e sua moglie, ogni notte, prima di andare a letto, glieli faceva lavare con acqua tiepida.
Una notte, verso la fine d’aprile del 1886, mentre Salvatore si faceva il consueto lavacro, sua moglie entrò in camera con un’aria insolita e misteriosa.
Agada Brindis, anch’essa verso la cinquantina, era alta e nervosa, con un lungo viso bronzino avvolto in una benda gialla; vestiva all’antica, con gonna d’albagio grigio e giubbone da uomo, di scarlatto cupo a doppio petto; ed era l’ignoranza personificata, piena di pregiudizi, superstizioni e rispetti umani; il che non le impediva d’aver talvolta un perfetto dominio sul marito.