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che si destasse troppo fatalmente dal suo stupido sonno infantile.
Ritornando, mentre percorrevano un viottolo chiuso da muricciuoli assiepati di rovi, Costanza domandò:
— Dunque, andremo dalla maga?
— Sicuramente! — disse Cicchedda, e pensò: — E non siamo venute per questo?
— E cosa le chiediamo? — fece l’altra con falsa ingenuità.
— Eh, lo sai tu cosa vuoi chiederle! — pensò Cicchedda. Poi disse: — Io le chiederò se mi devo maritare....
— Non pensi ad altro! Sei innamorata? Ti han veduta discorrere con un convittore....
Cicchedda rise, scuotendo le spalle come per dire: Che sciocchezza! ed esclamò:
— È uno studente d’Oliena: ogni volta che mi vede mi ferma, ma io non bado a lui!
— Non badi a lui? E dunque a chi badi? Con chi fai l’amore?
— Col pane! — disse l’altra ridendo. Poi s’infastidì. — Ma lasciamo questi discorsi e andiamo da zia Marta Fele.
— Bisogna esser sole ad interrogarla?
— Te l’ho detto mille volte. Hai paura tu?
— Fa del male? Mi toccherà? — domandò Costanza impensierita. — Nessuno vedrà?
— Macchè! Nessuno.