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date, è Cicchedda Brontu! — gridarono le olianesi, circondando la cavallina.
Una ragazza lacera disse: — Oh, oh, ti sei levata la crosta?
— Io sì. Levatela tu, ora! — gridò Cicchedda.
Le donne risero, ma quando si furono allontanate, la fanciulla lacera si volse e gridò:
— Ma io non vado a Nuoro per mendicare!
Cicchedda arrossì; voleva scendere e lanciar una pietra all’insolente, ma Costanza, temendo uno scandalo, spinse la cavalla al galoppo. La servetta dovette aggrapparsi forte, gridando per la paura di cadere, e quando l’acchetta riprese il solito passo, disse:
— Le vedi! Le vedi le olianesi che non possono veder nessuno a camparsi la vita! Meglio sarà — aggiunse dopo, pensandoci — meglio se mi vedranno maritata!
— Diavolo! — esclamò Costanza. — Che idee hai! Pensi di pigliar marito? È per questo che da qualche tempo stai diventando....
— Cosa sto diventando? Cosa sto diventando? — gridò ella rossa e stizzita.
— Eh, stai diventando viva! Hai grilli per la testa? Zia Agada te li caverà col manico della scopa.
Cicchedda rise, con occhi splendenti; rise anche Costanza, e un paesano dalle vesti bianche di calce, che passava in quel punto, le guardò e disse: