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sè seria e composta, ancora un po’ assonnata e pallida, taceva o rispondeva con indifferenza.
L’aurora rosseggiava ancora dietro le alture della Solitudine, e solo nello sfondo della valle le montagne d’Oliena apparivano rosee sul cielo purissimo e luminoso, nelle prime irradiazioni del lontano sole nascente. Ma il versante occidentale dell’Orthobene e lo stradale e la sottostante vallata restavano nell’ombra freschissima del primo mattino: nelle fratte roride, fra i grigi olivi sognanti, era un allegro cinguettìo di uccelli; freschi profumi di erbe aromatiche, di lentischi e di roccie bagnate di rugiada scendevano dalla montagna.
Il sole era già alto quando sbucarono dalla pianura d’Oliena, in faccia alle montagne color di lilla, e fra i campi privi d’alberi e biondissimi per le fitte stoppie rase. Cominciarono ad incontrare paesani a cavallo e paesane a piedi, che, con le scarpe in mano, si recavano a Nuoro per vender frutta.
Cicchedda, riconoscendo le sue compaesane, le chiamava a nome, dimenandosi sulla cavallina e ridendo altamente. Le olianesi si fermavano meravigliate, non riconoscendola nel suo costume nuorese, e le dicevano insolenze. A un certo punto Costanza, seccata, rivelò l’essere della sua compagna.
— Oh, oh, è Cicchedda Brontu! Guardate, guar-