Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 103 — |
Ogni mattina Cicchedda sellava l’acchetta, la caricava di due alti cesti di canna, ficcati entro un’enorme bisaccia, e scendeva alla valle per coglier fichi d’india nel chiuso dei padroni. Il bestiame ed anche il personale di casa Brindis faceva un gran consumo di queste frutta: specialmente Cicchedda e Domenico da qualche tempo non vivevano d’altro.
Scendendo alla valle la ragazza trottava allegramente sulla cavallina, sferzandola con una fronda di sambuco: qualche volta l’acchetta galoppava sì bene che la dama andava a gambe per aria. Ma siccome, nell’ora mattutina e nel deserto stradale, nessuno assisteva al capitombolo, ella si ricomponeva subitamente, e senza confusione risaliva in sella imprecando la cavalla. Giunta al chiuso, spiccava i fichi d’India con una lunga canna e cantava ad altissima voce i mutos più appassionati. Ne componeva ella medesima con meravigliosa voce poetica; aveva una bella voce tremolante, e in campagna, o quando in casa puliva la farina, al rumor cadenzato dello staccio, o lavando nel ruscello, cantava a perdita di fiato. Ora pronunziava perfettamente il nuorese (aveva stretto relazione con molte ragazze allegre) e nell’ultima estate aveva subito una specie di trasformazione morale e materiale. Non più sonno negli occhi. Non più sorrisi stupidi. Pretendeva d’esser vestita bene e comin-