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per la partenza di Paolo, che forse davvero non avrebbero riveduto mai più.
— Meglio così — disse Giovanna; e attraversò il pianerottolo sempre saltellando. Lyly e Lisbet giuocavano sempre, rincorrendosi e raspando gli usci.
Lyly precedè Giovanna fino alla porta, e rizzandosi quant’era lungo, raspò e miagolò: ella ricordò come l’aveva maltrattato un giorno, alla presenza di Paolo, e sorridendo lo allontanò col piede.
— Vuoi un’altra lezione? — gli chiese. Ma affacciatasi alla finestra del salotto si sentì improvvisamente triste.
Imbruniva. Al di sopra delle ultime montagne stava come sospesa una lunga nuvola, nera sullo sfondo glauco e liquido dell’orizzonte. Nell’alto del limpidissimo cielo una sola stella, Venere, color d’oro, fissa e radiosa, proiettava il suo raggio ineffabile sulla lunga nuvola, che pareva un’aerea foresta lontana, col suo profilo d’alberi e macchie e cespugli tremolanti sull’orizzonte.
Giovanna, col mento sulle mani intrecciate, guardò e sentì una infinita ed arcana tristezza: le parve che Paolo De-Cerere non l’avesse mai amata; sentì come sarebbe stata infelice se si fosse lasciata illudere fino all’ultimo, e ripetè fra sè: — Meglio così!
Ma perchè gli uomini eran fatti così? Eran buoni o cattivi? Eran buoni e cattivi; e le parve