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di Cosimo Bancu che faceva la caricatura del signor Ciriaco imitatore degli altri!

Quella sera il Ciriaco, avvicinatosi a Cosimo che frugava fra gli spartiti, guardava acutamente l’impiegato e l’avvocato, fissandone lutti i contorcimenti, i gesti, per poterli certo imitare l’indomani.

Peppina, fredda ai complimenti dei due amici, muoveva ogni tanto la sua poltrona per mettersi in vista di Cosimo; ma egli non le badava, intento sempre a ragionar col Ciriaco, che restava con le mani sulla schiena e appoggiato alla parete. A un tratto, addensandosi l’ombra, Bancu accese le steariche del piano, e nella luce gialla che illuminò tutto l’angolo della parete, mentre nel resto del salotto s’indugiava l’ultimo chiarore della sera grigia, il suo volto apparve più pallido e fatale del solito. Il Ciriaco lo guardò rapidamente, osservandogli le bianche mani scarne, dalle unghie lunghe lievemente scanalate, e ancora una volta pensò che quel tipo era inimitabile. Avea molte volte provato a contraltare quella fisionomia seria, sarcastica, e la voce e il gesto di quelle aristocratiche mani nervose: invano, non ci riusciva. Invece Cosimo, quando imitava il Ciriaco che lo contraffaceva, destava la più viva ilarità.

A un certo punto il Ciriaco si mise ad osservare la signora Marchis, trovando in lei un soggetto adattissimo per caricatura. Ella, al solito,