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non ve n’ha uno solo che possa persuadere chi non sia già prima persuaso dell’autenticità, perchè non uno solo accenna a fatto o ad idea che non potessero essere pensati o scritti da chi avesse qualche famigliarità con le opere di Dante e seguisse la maniera di filosofare che gli fu propria1.

Naturalmente l’acquisto di un nuovo scritto dantesco dovette riuscire ai più una novella graditissima, massime ai tempi nei quali il culto dell’Alighieri rifioriva, non solo nella penisola, ma in tutt’Europa. I Mantovani ben volentieri si persuasero che il sommo poeta, peregrinante per tante terre, avesse soggiornato anche in Mantova, e tramutarono in certezza qualche vago accenno nei biografi, e s’industriarono a trovarne conferma nel poema2. Ai Veronesi non parve vero di poter affermare che anche un’altra volta, poco prima della morte, l’esule illustre trovasse ospitalità nella città loro3; e per iniziativa di quel valentuomo che fu mons. Giuliari, volle nel 1865 il Capitolo della

    poco mancò non la si scrivesse sui boccali di Montelupo, poichè era illazione diretta del principio aristotelico famosissimo Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu.

  1. I passi più rilevanti del commento del Giuliani sono quelli alle pp. 383, 389, 391, 396-97, 422-23, 426; ma chi li esamini vedrà quanto agli occhi di quell’illustre cultore di cose dantesche facesse velo la persuasione di aver a che fare veramente con uno scritto di Dante. Nella medesima condizione d’animo è scritta la memoria di G. Poletto, L’opuscolo di D.A. «De aqua et terra» in raffronto al moderno progresso delle scienze fisiche, negli Atti del R. Istit. Veneto, Serie VI, Vol. I (1883), pp. 843 sgg. Tanto è vero che oggi, sbollito quel primo entusiasmo, il Poletto medesimo dubita forte che quello scritto sia di Dante, nel recente vol. Alcuni studi su D. A., Siena, 1892, p. 314. Anche quando egli lesse la sua menzionata memoria nell’Istituto veneto, sorse a confutarla R. S. Minich, che accampò molte ragioni contro l’autenticità. Il discorso del Minich può vedersi sunteggiato nel cit. vol. degli Atti, pp. 864-68.
  2. Vedi il cit. artic. dell’Ottoni, nella Gazz. di Mantova del 1864. La dimora di Dante in Mantova era stata congetturata dall’Arrivabene (Secolo di Dante, I, 429), e poi dal Balbo (Vita di D., pp. 271-72), come una cosa semplicemente possibile nel suo viaggio del 1306 da Padova alla Lunigiana. Il Fraticelli (Storia della vita di D., Firenze, 1861, p. 167), copia il Balbo; ma reputa poi cosa certa (p. 245) una seconda dimora di D. in Mantova nel 1320, fondandosi sulla Quaestio, e così, dopo di lui, molti altri.
  3. Vedi Belviglieri, Dante a Verona, in Scritti storici, Verona-Padova, 1881, p. 149.