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gno che ne avrebbe fatto, contava di viverci qualche mese; finchè non avesse venduto i fieni e poi il grano. La raccolta del vino era troppo piccola, e appena bastava per lui e per la matrigna; ma, come aveva fatto suo padre, così egli sperava altrettanto, e forse meglio. Anche i maiali perchè non c’erano? Ma, a settembre, fatto fare il castro, o dietro casa o al muro della capanna, ne avrebbe presi un branco. Quel trogolo di legno era piuttosto da galline e da bruciare! I pagliai bisognava farli più distanti, perchè aveva paura dei fulmini, e magari, qualche birbaccione poteva bruciarli. C’era anche da assicurarsi, anzi, contro l’incendio! Alla capanna, troppo umida, bisognava rifare l’impiantito! Eppoi, attraverso quelle finestrucce, tappate soltanto con la paglia, pioveva lo stesso come fuori! La parata stava per cadere. E quanto era sudicia! Dentro, il concio e un mucchio di attrezzi vecchi, da buttarsi via; ma a venderne il ferro c’era da mettere in tasca, sì e no, tre lire!
La stagione era buona, e non era piovuto su la semente nè troppo nè poco. Egli, vedendo dalla finestra della sua camera, la più bella pendice della Casuccia, fin giù dove faceva da argine, con una svoltata rotonda, alla Tressa, sognò di cavarsi presto e bene da tutti gli impicci.