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L'aia della Casuccia era già buia; tra la casa, la capanna e la parata. Egli si sentì salutare da Berto e da Tordo, che stavano seduti insieme sul primo scalone della loro casa. Moscino, che era figliolo di Picciòlo e fratello di Lorenzo, cantava tra i cipressi; e, tutto a un tratto, attraversò l'aia saltando: aveva quindici anni; magrolino, con la pelle annerita dal sole. Finchè non era proprio inverno, portava soltanto un paio di calzoni, che gli arrivavano ai ginocchi; la camicia sempre rimboccata, perchè mancavano le maniche. Ma la domenica si metteva un vestito nero, cucitogli dalla mamma; e, al collo, una ciarpa rossa a fiocco. Con il sigaro in bocca, andava a sentire la musica militare in città; e, la sera, cercava di tornare in compagnia di qualche ragazza; per darsi l'aria d'essere un giovanotto.

Remigio, che s'era fatto prestare la mattina due lire dalla matrigna, per le sigarette, si chiuse in camera e si mise a fumare.

Qualche lume, a Siena, s'accese; e siccome non si distinguevano bene le case, perchè c'era un poco di caligine, pareva che quei lumi stessero per aria, sospesi; e, quando Moscino si rimise a cantare, gli parve che tutto fosse stupido e insulso come quel canto.