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fino alla Tressa; attraversando una pendice di stoppia, tutta piena di certi fiori bianchi che spandeva nell’aria un odore amaro quasi repugnante.
Le galline raspavano nei fossetti della strada, ed egli udiva un cinguettìo, che pareva lontanissimo, nel silenzio dei campi. Sopra una poggiata, c’era una fila di bovi. Il cielo luccicava come una falce arrotata, e Dinda sciacquava i cenci al fontone dell’orto.
Passò accanto alle vacche che ruminavano ferme: avevano gli occhi umidi, e la pancia della gravidanza faceva loro due buche al posto dei fianchi. Tese un braccio, per toccarne una; ma la vacca dette una scrollata e se ne andò.
Gli pareva di potersi nascondere in mezzo al podere; e di non farsi mai più guardare da nessuno.
Quando fu l’ora di andare a Siena, trovò la matrigna già pronta che l’aspettava. Per la strada, non si parlarono quasi mai. Ella si sventagliava; a capo basso; e soltanto quando ebbe paura di una scrofa che scappava grugnendo, lo prese sotto braccio. Poi, lo rilasciò: prima, voleva essere sicura di lui.
Anche in presenza dell’avvocato stette zitta, sempre seduta in un cantuccio; avendo già tutto combinato il giorno avanti. Ma non le sfuggiva niente di quel che l’avvocato faceva; guardandolo riempire le pagine con