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XXII.
La notte, il fontone pareva uno specchio disteso sotto la luna. Attorno, le crete rilucevano; anche perchè rendevano la luce assorbita durante il giorno.
La luna era là, e sapeva da sè la sua strada; la luna forte e bella. La Tressa scrosciava e i pioppi avevano messo la voce. Non c’era alito di vento che non si sentisse subito.
Remigio andò ad accarezzare l’aratro vecchio e scheggiato; ma sempre buono: il vomere, con la punta liscia e pulita, luccicava; quasi gli rispondesse a quel modo.
Picciòlo, dopo il bisticcio per il vitello che ripigliava vigore, non gli parlava più volentieri come prima; e perciò, benchè anche lui fosse fuori di casa, non gli si avvicinò. Remigio avrebbe voluto chiamarlo; ma stette zitto, per non dargli troppa confidenza e per paura che gli rinfacciasse quelle parole dette in un impeto d’ira: voleva imparare a contenersi con gli assalariati, perchè sentissero da sè che era buono.