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d’incerato verde. Poi, quando i loro uomini tornavano d’aver visto la fiera e d’aver parlato con i conoscenti, si mettevano a mangiare.
All’entrata del prato, alcune baracche vendevano coltelli, falci, pietre rotaie, forbici da potare, barili nuovi.
Un uomo, ventruto, si scalmanava, battendo la mano aperta su le stoffe che egli teneva con il pugno dell’altra mano, sopra alla testa. Un cantastorie, aiutato dalla moglie, stonava e storceva la bocca per far ridere; accompagnandosi con un’enorme chitarra unta. Era magro e grigio; e, corrugando la fronte, faceva andare avanti e indietro il cappello a staio. La donna, più piccola di lui, rossa in viso, aveva i capelli d’un biondo bianchiccio, tenuti fermi con una sola forcella di ottone che faceva gola a tutte le contadine. Quando doveva alzare la voce, per non fare stecca, spingeva in avanti il buzzo e piegava un ginocchio. Ed ambedue, cantando, guardavano con gli occhi fissi di là dalla gente, come fuori di sé e assorti.
Le ragazze, tenendosi i gomiti su le spalle l’una dell’altra, con tutto il peso del loro corpo, ascoltavano ridacchiando, pigiate in mezzo ai giovinotti; senza impermalirsi di certe parole che andavano a dirle loro dentro gli orecchi. Quando una aveva indolenzite le spalle dal braccio di un’altra, le smoveva