Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 146 — |
no, che una volta facevano grandi feste da per tutto; e, ora, invece, è silenzio da per tutto. E non si sente dire più niente. Qualche volta, vorrei entrare sotto terra; giù in fondo, più sotto dei lombrichi.
E chiuse gli occhi. Tordo non era del suo parere, ma non s'arrischiava a dirglielo; anche per amicizia.
— Vorrei sapere perchè sono venuto al mondo e che cosa ci ho fatto! Non era lo stesso se non nascevo?
Lorenzo, che arava, passò vicino e loro; per finire il solco. Si sentiva la terra aprirsi e respirare le vacche: qualche volta, lo scricchiolio dell'aratro. Lorenzo era allegro, e gridò:
— Ohè, fate i signori costì all'ombra del fico? Ora vengo anch'io. Questa creta fa rompere il giogo alle vacche!
E siccome non gli risposero, egli voltò; cominciando un altro solco e cantando:
Quando pigli marito, bella Gegia,
Quando la stoppa diverrà bambagia?
Quando l'olivo farà la ciliegia?
La creta, sotto, era più scura perchè più fresca; e le zolle rovesciate, dove erano state tagliate dal ferro del vomero, lustravano.
Berto si mise il cappello nero su gli occhi, e disse: