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XIV.


Una mattina, per non piangere, Remigio escì di casa; e, per due o tre ore, sfaticò facendo di tutto. Accatastò la legna, ripulì certi stanzini dove stavano i soffietti da zolfo, gli stai, i sacchi e gli annaffiatoi; poi andò in cantina, a raschiare la muffa alle botti, a cambiare i sugheri vecchi, a sdiragnare le travi; sciacquò i fiaschi, accomodò l’imbottitoia, buttò fuori dell’uscio le cose inservibili: granatini consumati, tappi rotti, cenci, bottiglie incrinate, stoppacci.

Salì in casa e lo disse alla matrigna, che, senza alzare la testa da dove dava i punti con l’ago, storcendo prima la bocca, rispose per mostrarsi buona:

— Hai fatto bene!

Però dalla voce si sentiva che pensava altro.

— Allora me lo dica lei quel che avrei dovuto fare!

Ella arrossì, infilò l’ago e poi ridendo come si meravigliasse, chiese: