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nell’indagine. Però l’aria calda, la mollezza della poltrona, la luce discreta, le variazioni del fuoco, l’aroma del tè, tutte quelle sensazioni grate ricondussero il suo spirito agli errori dilettosi. Egli andava errando senza meta, come in un fantastico laberinto. In lui il pensiero assumeva talvolta la virtù dell’oppio: poteva inebriarlo.
― Mi permetto di ricordare al signor conte che per le sette è atteso in casa Doria ― disse a voce bassa il servo, che aveva anche l’ufficio di rammentatore. ― Tutto è preparato.
Egli andò a vestirsi, nella camera ottagonale ch’era, in verità, il più elegante e comodo spogliatoio desiderabile per un giovine signore moderno. Vestendosi, aveva una infinità di minute cure della sua persona. Sopra un gran sarcofago romano, trasformato con molto gusto in una tavola per abbigliamento, erano disposti in ordine i fazzoletti di batista, i guanti da ballo, i portafogli, li astucci delle sigarette, le fiale delle essenze, e cinque o sei gardenie fresche in piccoli vasi di porcellana azzurra. Egli scelse un fazzoletto con le cifre bianche e ci versò due o tre gocce di pao rosa; non prese alcuna gardenia perchè l’avrebbe trovata alla mensa di casa Doria; empì di sigarette russe un astuccio d’oro martellato, sottilissimo, ornato d’uno zaffiro su la sporgenza della molla, un po’ curvo per aderire alla coscia nella tasca de’ calzoni. Quindi uscì.
In casa Doria, tra un discorso e l’altro, la duchessa Angelieri, a proposito del recente parto della Miano, disse: