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fila di diamanti, e due rubini scintillavano in fondo alle occhiaie. Su la fronte era inciso un motto: RUIT HORA; su l’occipite un altro motto: TIBI, HIPPOLYTA. Il cranio si apriva, come una scatola, sebbene la commessura fosse quasi invisibile. L’interior battito del congegno dava a quel teschietto una inesprimibile apparenza di vita. Quel gioiello mortuario, offerta d’un artefice misterioso alla sua donna, aveva dovuto segnar le ore dell’ebrezza e col suo simbolo ammonire gli spiriti amanti.
In verità, non poteva il Piacere desiderare un più squisito e più incitante misurator del tempo. Andrea pensò: “Me lo consiglia ella per noi?„ E a quel pensiero tutte le speranze rinacquero e risorsero di tra l’incertezza, confusamente. Egli si gittò nella gara, con una specie d’entusiasmo. Gli rispondevano due o tre competitori accaniti, tra cui Giannetto Rútolo che, avendo per amante Donna Ippolita Albónico, era attratto dall’iscrizione: TIBI, HIPPOLYTA.
Dopo poco, rimasero soli a contendere, il Rútolo e lo Sperelli. Le cifre salivano oltre il prezzo reale dell’oggetto, mentre i periti sorridevano. A un certo punto, Giannetto Rútolo non rispose più, vinto dalla ostinazione dell’avversario.
― Si delibera! Si delibera!
L’amante di Donna Ippolita, un poco pallido, gridò un’ultima cifra. Lo Sperelli aumentò. Ci fu un momento di silenzio. Il perito guardava i due competitori; quindi levò il martello, con lentezza, sempre guardando.
― Uno! Due! Tre!