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― Peccato! Canterà, ora, Mary Dyce.
― Addio. A domani.
― Prendi. E addio. Cugino amabile, accompagnatela.
La marchesa le diede un mazzo di violette doppie; e si volse poi ad incontrar la principessa Issè, graziosamente. Mary Dyce, vestita di rosso, alta e ondeggiante come una fiamma, incominciava a cantare.
― Sono tanto stanca! ― mormorò Elena, appoggiandosi ad Andrea. ― Chiedete, vi prego, la mia pelliccia.
Egli prese la pelliccia dal servo che glie la porgeva. Aiutando la dama a indossarla, le sfiorò l’omero con le dita; e sentì ch’ella rabbrividiva. Tutta l’anticamera era piena di valletti in livree diverse, che s’inchinavano. La voce soprana di Mary Dyce portava le parole d’una romanza di Robert Schumann: “Ich kann’s nicht fassen, nicht glauben...„
Scendevano in silenzio. Il servo era andato innanzi a fare avanzare la carrozza fino a piè della scala. Udivasi rintronare lo scalpitìo de’ cavalli sotto l’androne sonoro. Ad ogni scalino, Andrea sentiva il premere lieve del braccio di Elena che s’abbandonava un poco, tenendo il capo sollevato, anzi alquanto piegato indietro, con li occhi socchiusi.
― Nel salire, vi seguiva la mia ammirazione sconosciuta. Nel discendere vi accompagna il mio amore, ― le disse Andrea, sommessamente, quasi umilmente, ponendo tra le ultime parole una pausa esitante.
Ella non rispose. Ma portò alle nari il mazzo