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― Andate ― ella gli chiese ― andate domani sera al ballo dell’ambasciata di Francia?
― E voi? ― chiese a sua volta Andrea.
― Io, sì.
― Io, sì.
Sorrisero, come due amanti. Ed ella soggiunse, mentre sedeva:
― Sedete.
Il divano era discosto dal caminetto, lungo la coda del pianoforte che le pieghe ricche d’una stoffa celavano in parte. Una gru di bronzo, a una estremità, reggeva nel becco levato un piatto sospeso a tre catenelle, come quel d’una bilancia; e il piatto conteneva un libro nuovo e una piccola sciabola giapponese, un waki-zashi, ornato di crisantemi d’argento nella guaina, nella guardia, nell’elsa.
Elena prese il libro ch’era a metà intonso; lesse il titolo; poi lo ripose nel piatto che ondeggiò. La sciabola cadde. Come ella ed Andrea si chinavano nel tempo medesimo per raccoglierla, le loro mani s’incontrarono. Ella, rialzatasi, esaminò la bell’arma curiosamente; e la tenne, mentre Andrea le parlava di quel nuovo libro di romanzo e s’insinuava in argomenti generali d’amore.
― Perchè mai rimanete così lontano dal “gran pubblico„? ― gli domandò ella. ― Avete giurato fedeltà ai “Venticinque Esemplari„?
― Sì, per sempre. Anzi il mio sogno è l’“Esemplare Unico„ da offerire alla “Donna Unica.„ In una società democratica com’è la nostra, l’artefice di prosa o di verso deve rinunziare ad ogni benefizio che non sia di amore. Il lettor