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da certe attitudini, da certi sguardi ella esalava, forse involontariamente, un fascino troppo afrodisiaco. Ella dispensava con troppa facilità il godimento visuale delle sue grazie. Di tratto in tratto, alla vista di tutti, forse involontariamente, ella aveva una movenza o una posa o una espressione che nell’alcova avrebbe fatto fremere un amante. Ciascuno, guardandola, poteva rapirle una scintilla di piacere, poteva involgerla d’imaginazioni impure, poteva indovinarne le segrete carezze. Ella pareva creata, in verità, soltanto ad esercitare l’amore; ― e l’aria ch’ella respirava era sempre accesa dai desiderii sollevati in torno.

“Quanti l’han posseduta?„ pensò Andrea. “Quanti ricordi ella serba, della carne e dell’anima?„

Il cuore gli si gonfiava come d’un’onda amara, in fondo a cui pur sempre bolliva quella sua tirannica intolleranza d’ogni possesso imperfetto. E non sapeva distogliere li occhi dalle mani d’Elena.

In quella mani incomparabili, morbide e bianche, d’una transparenza ideale, segnate d’una trama di vene glauche appena visibile; in quelle palme un poco incavate e ombreggiate di rose, ove un chiromante avrebbe trovato oscuri intrichi, avevano bevuto, dieci, quindici, venti uomini, l’un dopo l’altro, a prezzo. Egli vedeva le teste di quelli uomini sconosciuti chinarsi e suggere il vino. Ma Galeazzo Secìnaro era uno de’ suoi amici: bello e gagliardo signore, imperialmente barbato come un Lucio Vero, rivale temibile.