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d’una mensa sta nel dessert. Tutte quelle squisite e rare cose dilettavano la vista, oltre il palato, disposte con arte in piatti di cristallo guarniti d’argento. I festoni intrecciati di camelie e di violette s’incurvavano tra i pampinosi candelabri del XVIII secolo animati dai fauni e dalle ninfe. E i fauni e le ninfe e le altre leggiadre forme di quella mitologia arcadica, e i Silvandri e le Filli e le Rosalinde animavan della lor tenerezza, su le tappezzerie delle pareti, un di que’ chiari paesi citerèi ch’esciron dalla fantasia d’Antonio Watteau.
La leggera eccitazione erotica, che prende gli spiriti al termine d’un pranzo ornato di donne e di fiori, rivelavasi nelle parole, rivelavasi ne’ ricordi di quella fiera di maggio ove le dame spinte da una emulazione ardente a raccogliere la maggior possibile somma nel loro ufficio di venditrici, avevano attirato i compratori con inaudite temerità.
― Accettaste? ― chiese Andrea Sperelli alla duchessa.
― Sacrificai le mie mani alla Beneficenza ― ella rispose. ― Venticinque luigi di più!
― All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand...
Egli rideva, ripetendo le parole di Lady Macbeth ma in fondo a lui era una sofferenza confusa, un tormento non bene definito, che somigliava la gelosia. Gli appariva ora, all’improvviso, quel non so che di eccessivo e quasi direi di cortigianesco onde in qualche momento offuscavasi la gran maniera della gentildonna. Da certi suoni della voce e del riso, da certi gesti,