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accese prima da te, e molto inumidite, per un luigi? ― fece Donna Francesca, sempre ridendo.

E Don Filippo:

― Io vidi qualche cosa di meglio. Leonetto Lanza ottenne dalla contessa di Lùcoli, per non so quanto, un sigaro d’avana ch’ella aveva tenuto sotto l’ascella...

― Ohibò! ― interruppe di nuovo la piccola baronessa, comicamente.

― Ogni opera di carità è santa ― sentenziò la marchesa. ― Io, a furia di morsi nelle frutta, misi insieme circa dugento luigi.

― E voi? ― chiese Andrea Sperelli alla Muti, sorridendo a mala pena. ― E voi, con la vostra coppa carnale?

― Io, dugento settanta.

Così motteggiavano tutti, tranne il marchese. Questo Ateleta era un uomo già vecchio, afflitto da una sordità incurabile, bene incerettato, dipinto d’un color biondastro, artefatto dal capo a’ piedi. Pareva uno di quei personaggi finti che si vedono ne’ gabinetti di figure in cera. Ogni tanto, quasi sempre male a proposito, metteva fuori una specie di risolino secco che pareva lo stridore d’una macchinetta arrugginita ch’egli avesse dentro il corpo.

― Ma, a un certo punto, il prezzo del sorso arrivò a dieci luigi. Capite? ― soggiunse Elena. ― E all’ultimo quel matto di Galeazzo Secìnaro venne ad offrirmi un biglietto da cinquecento lire chiedendo in cambio ch’io m’asciugassi le mani alla sua barba bionda...

Il finale del pranzo era, come sempre in casa d’Ateleta, splendidissimo; poichè il vero lusso