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in quell’inverno aveva introdotta la moda delle catene di fiori sospese dall’un capo all’altro, fra i grandi candelabri; ed anche la moda dell’esilissimo vaso di Murano, latteo e cangiante come l’opale, con entro una sola orchidea, messo tra i varii bicchieri innanzi a ciascun convitato.
― Fior diabolico ― disse Donna Elena Muti, prendendo il vaso di vetro e osservando da vicino l’orchidea sanguigna e difforme.
Ella aveva la voce così ricca di suono che anche le parole più volgari e le frasi più comuni parevano prendere su la sua bocca non so qual significato occulto, non so qual misterioso accento e qual grazia nuova. Alla guisa medesima il re frigio faceva d’oro quantunque cose ei toccasse con la mano.
― Fiore simbolico, tra le vostre dita ― mormorò Andrea, guardando la dama che in quell’attitudine era sovrammirabile.
La dama vestiva un tessuto d’un color ceruleo assai pallido, sparso di punti d’argento, che brillava di sotto ai merletti antichi di Burano bianchi d’un bianco indefinibile, pendente un poco nel fulvo ma tanto poco che a pena pareva. Il fiore, quasi innaturale, come generato da un malefizio, ondeggiava in sul gambo, fuor di quel fragile tubo che certo l’artefice avea foggiato con un soffio in una gemma liquefatta.
― Ma io preferisco le rose ― disse Elena, posando l’orchidea, con un atto di repulsione che faceva contrasto al suo precedente moto di curiosità.
Poi si gettò nella conversazione generale.