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posò sul gradino. Poi, come anch’egli saliva la scala, vide la dama alle spalle.

Ella saliva d’innanzi a lui, lentamente, mollemente, con una specie di misura. Il mantello foderato d’una pelliccia nivea come la piuma de’ cigni, non più retto dal fermaglio, le si abbandonava intorno al busto lasciando scoperte le spalle. Le spalle emergevano pallide come l’avorio polito, divise da un solco morbido, con le scapule che nel perdersi dentro i merletti del busto avevano non so qual curva fuggevole, quale dolce declinazione di ali; e su dalle spalle svolgevasi agile e tondo il collo; e dalla nuca i capelli, come ravvolti in una spira, piegavano al sommo della testa e vi formavano un nodo, sotto il morso delle forcine gemmate.

Quell’armoniosa ascensione della dama sconosciuta dava alli occhi d’Andrea un diletto così vivo ch’egli si fermò un istante, sul primo pianerottolo, ad ammirare. Lo strascico faceva su i gradini un fruscìo forte. Il servo caminava in dietro, non su i passi della sua signora lungo la guida di tappeto rosso, ma da un lato, lungo la parete, con una irreprensibile compostezza. Il contrasto tra quella magnifica creatura e quel rigido automa era assai bizzarro. Andrea sorrise.

Nell’anticamera, mentre il servo prendeva il mantello, la dama gittò uno sguardo rapidissimo al giovine ch’entrava. Questi udì annunziare:

― Sua Eccellenza la duchessa di Scerni!

Sùbito dopo:

― Il signor conte Sperelli-Fieschi d’Ugenta!

E gli piacque che il suo nome fosse pronunziato accanto al nome di quella donna.