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gliendola fra le sue braccia, bevendole l’alito dalla bocca affannata.
Poi, prendendole una mano e premendosela al petto:
― Sentimi il cuore. Se tu indugiavi ancor un minuto, mi si rompeva.
Ella mise la guancia nel luogo della mano. Egli le baciò la nuca.
― Senti?
― Sì; mi parla.
― Che ti dice?
― Che non mi ami.
― Che ti dice? ― ripetè il giovine, mordendola alla nuca, impedendole di sollevarsi.
Ella rise.
― Che mi ami.
Ella si tolse il mantello, il cappello, i guanti. Andò a odorare i fiori di lilla bianchi che empivano le alte coppe fiorentine, quelle del tondo borghesiano. Aveva su i tappeti un passo di straordinaria leggerezza; e nulla era più soave dell’atto con cui ella affondava il viso tra le ciocche delicate.
― Prendi ― ella disse, recidendo coi denti una cima e tenendola in bocca, fuor delle labbra.
― No; io prenderò dalla tua bocca un altro fiore, men bianco ma più saporoso...
Si baciarono, a lungo, a lungo, in mezzo al profumo.
Egli disse, con la voce un po’ mutata, traendola:
― Vieni, di là.
― No, Andrea; è tardi. Oggi, no. Restiamo qui. Io ti farò il tè; tu mi farai tante carezze buone.