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talvolta addensandosi prendeva forma d’un sospetto. E il sospetto la mordeva, le rendeva amari i baci, acre ogni carezza, finchè non si dileguava sotto gli impeti e gli ardori dell’incomprensibile amante.
Ella era gelosa. La gelosia era il suo spasimo implacabile, la gelosia, non pur del presente, ma del passato. Per quella crudeltà che le persone gelose hanno contro sè stesse, ella avrebbe voluto leggere nella memoria di Andrea, scoprirne tutti i ricordi, vedere tutte le tracce segnate dalle antiche amanti, sapere, sapere. La domanda che più spesso le correva alle labbra, quando Andrea taceva, era questa: ― A che pensi? ― E mentre ella profferiva le tre parole, inevitabilmente l’ombra le passava negli occhi e su l’anima, inevitabilmente un flutto di tristezza le si levava dal cuore.
Anche quel giorno, all’improvviso sopraggiungere di Andrea, non aveva ella avuto in fondo a sè un istintivo moto di sospetto? Anzi un pensier lucido erale balenato nello spirito: il pensiero che Andrea venisse dalla casa di Lady Heathfield, dal palazzo Barberini.
Ella sapeva che Andrea era stato l’amante di quella donna, sapeva che quella donna si chiamava Elena, sapeva infine che quella era la Elena dell’inscrizione. “Ich lebe!...„ Il distico del Goethe le squillava forte sul cuore. Quel grido lirico le dava la misura dell’amor d’Andrea per la bellissima donna. Egli doveva averla immensamente amata!
Camminando sotto gli alberi, ella ricordava l’apparizione di Elena nella sala del concerto,