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Egli affrettò il passo per raggiungerla. Quando fu da presso la chiamò per nome:
― Maria!
Ella ebbe un sussulto:
― Come qui? Io salivo da te. Sono le cinque.
― Manca qualche minuto. Io correvo ad aspettarti. Perdonami.
― Che hai? Sei molto pallido, tutto alterato... Di dove vieni? Ella corrugò i sopraccigli, fissandolo, a traverso il velo.
― Dalla scuderia ― rispose Andrea, sostenendo lo sguardo, senza arrossire, come s’egli non avesse più sangue. ― Un cavallo, che m’era assai caro, s’è rovinato un ginocchio per colpa del jockey. Domenica non potrà quindi prender parte al Derby. La cosa mi fa pena ed ira. Perdonami. Ho indugiato senza accorgermene. Ma alle cinque manca qualche minuto...
― Bene. Addio. Me ne vado.
Erano su la piazza della Trinità. Ella si soffermò per congedarsi, tendendogli la mano. Le durava ancora tra i sopraccigli una piega. In mezzo alla sua gran dolcezza, talvolta ella aveva insofferenze quasi aspre e movimenti altieri che la trasfiguravano.
― No, Maria. Vieni. Sii dolce. Io vado su, ad aspettarti. Tu arriva fino ai cancelli del Pincio e torna indietro. Vuoi?
L’orologio della Trinità de’ Monti suonò le cinque.
― Senti? ― soggiunse Andrea.
Ella disse, dopo una leggera esitazione:
― Verrò.