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― Che facevate, di là? ― ella gli chiese, pur sempre sorridendo al modo medesimo.
― Vostro marito mi mostrava cimelii.
― Ah!
Ella aveva la bocca sardonica, una cert’aria beffarda, un’irrision palese nella voce. Si adagiò, sopra un largo divano coperto d’un tappeto di Bouckara amaranto su cui languivano i cuscini pallidi e su’ cuscini le palme d’oro smorto. Si adagiò in un’attitudine molle, guardando Andrea di tra i lusinghevoli cigli, con quegli occhi che parevano come suffusi d’un qualche olio purissimo e sottilissimo. E si mise a parlare di cose mondane, ma con una voce che penetrava fin nell’intime vene del giovine, come un fuoco invisibile.
Due o tre volte Andrea sorprese lo sguardo scintillante di Lord Heathfield fisso su la moglie: uno sguardo che gli parve carico di tutte le impurità e le infamie dianzi rimescolate. Quasi ad ogni frase, Elena rideva, d’un riso irridente, con una strana facilità, non turbata dalla brama di que’ due uomini che s’erano accesi insieme su le figure dei libri osceni. Ancora, il pensier criminoso attraversò lo spirito di Andrea, nella luce d’un lampo. Tutte le fibre gli tremarono.
Quando Lord Heathfield si levò ed uscì, egli proruppe, con la voce roca, afferrandole un polso, avvicinandosi a lei così da sfiorarla con l’alito veemente:
― Io perdo la ragione... Io divento folle... Ho bisogno di te, Elena... Ti voglio...
Ella liberò il polso, con un gesto superbo. Poi disse, con una terribile freddezza: