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Andrea avrebbe dato qualunque prezzo per sottrarsi al supplizio che l’aspettava ed era attratto da quel supplizio, nel tempo medesimo. Il suo sguardo, anche una volta, si levò alla parete rossa, verso il cupo quadro ove brillava la faccia esangue di Elena dagli occhi seguaci, dalla bocca di sibilla. Un fascino acuto e continuo emanava da quella immobilità imperiosa. Quel pallore unico dominava tragicamente tutta la rossa ombra della stanza. Ed egli sentì, anche una volta, che la sua trista passione era immedicabile.
Un’angoscia disperata l’assalse. ― Non avrebbe egli dunque mai più posseduta quella carne? Era ella dunque risoluta a non concedergli? Ed egli avrebbe per sempre nutrita in sè la fiamma del desiderio insoddisfatto? ― L’eccitazion prodotta in lui dai libri di Lord Heathfield inaspriva la sofferenza, rinfocolava la febbre. Era nel suo spirito un confuso tumulto d’imagini erotiche; la nudità di Elena entrava nei gruppi infami delle vignette incise dal Coiny, prendeva attitudini di piacere già note al passato amore, si piegava ad attitudini nuove, si offeriva alla lascivia bestiale del marito. Orrore! Orrore!
― Volete che andiamo di là? ― chiese il marito, ricomparendo su la soglia, ben ricomposto e tranquillo. ― Mi disegnerete dunque i fermagli pel mio Gervetius?
Andrea rispose:
― Mi proverò.
Egli non poteva reprimere il tremito interno. Nel salone, Elena lo guardò curiosamente, con un sorriso irritante.