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alla vera architettura dell’edifizio il fantasma d’una prodigiosa architettura ariostèa.
Chino a riguardare, l’aspettante sentiva sotto il fascino di quel miracolo che i fantasmi vagheggianti dell’amore si risollevavano e le sommità liriche del sentimento riscintillavano come le lance ghiacce dei cancelli alla luna. Ma egli non sapeva quale delle due donne avrebbe preferita in quello scenario fantastico: se Elena Heathfield vestita di porpora o Maria Ferres vestita d’ermellino. E, come il suo spirito piacevasi d’indugiare nell’incertezza della preferenza, accadeva che nell’ansia dell’attesa si mescessero e confondessero stranamente due ansie, la reale per Elena, l’imaginaria per Maria.
Un orologio suonò da presso, nel silenzio, con un suono chiaro e vibrante; e pareva come se qualche cosa di vitreo nell’aria s’incrinasse a ognun de’ tocchi. L’orologio della Trinità de’ Monti rispose all’appello; rispose l’orologio del Quirinale; altri orologi di lungi risposero, fiochi. Erano le undici e un quarto.
Andrea guardò, aguzzando la vista, verso il portico. ― Avrebbe ella osato attraversare a piedi il giardino? ― Pensò la figura di Elena tra il gran candore. Quella della senese risorse spontanea, oscurò l’altra, vinse il candore, candida super nivem. La notte di luna e di neve era dunque sotto il dominio di Maria Ferres, come sotto una invincibile influenza astrale. Dalla sovrana purità delle cose nasceva l’imagine dell’amante pura, simbolicamente. La forza del Simbolo soggiogava lo spirito del poeta.
Allora, sempre guardando se l’altra venisse,