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smania l’invadeva, di sapere, di scoprire, d’interrogare, acutissima.

Elena s’era chinata al tavolo, poichè il vapore fuggiva, per la commessura del coperchio, dal vaso bollente. Versò a pena un poco d’acqua sul tè; poi mise due pezzi di zucchero in una sola tazza; poi versò sul tè altra acqua; poi spense la fiamma azzurra. Ella fece tutto questo con una cura quasi tenera, ma senza mai volgersi ad Andrea. L’interno tumulto risolvevasi ora in un intenerimento così molle ch’ella si sentiva chiudere la gola e inumidire gli occhi; e non poteva resistere. Tanti pensieri contrarii, tante contrarie agitazioni e alterazioni dell’animo si raccoglievano ora in una lacrima.

Ella, per un gesto, urtò il portabiglietti d’argento, che cadde sul tappeto. Andrea lo raccolse, e guardò le due giarrettiere incise. Portava ciascuna un motto sentimentale: From Dreamland ― A stranger hither; Dal Paese del Sogno ― Straniera qui.

Com’egli levava gli occhi, Elena gli offerì la tazza fumante, con un sorriso un poco velato dalla lacrima.

Vide egli quel velo; e innanzi a quell’inaspettato segno di tenerezza fu invaso da un tale impeto d’amore e di riconoscenza che posò la tazza, s’inginocchiò, prese la mano d’Elena, sopra vi mise la bocca.

― Elena! Elena!

Le parlava a voce bassa, in ginocchio, così da vicino che pareva volesse beverne l’alito. L’ardore era sincero, mentre le parole talvolta mentivano. ― “Egli l’amava, l’aveva sempre