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― Dite, Ugenta: è già stata ricevuta dalla Regina?
― Non so, principessa ― rispose Andrea, con un po’ d’impazienza nella voce.
Quel cicaleccio gli diveniva insopportabile; e la gajezza di Elena gli dava una orribile tortura, e la vicinanza del marito lo disgustava come non mai. Più che contro questi, egli aveva ira contro sè medesimo. In fondo alla sua irritazione, movevasi un senso di rimpianto verso la felicità dianzi ricusata. Il suo cuore, deluso e offeso dall’attitudine crudele di Elena, si rivolgeva all’altra con un acuto pentimento; ed egli la vedeva pensosa, in un viale solitario, bella e nobile come non mai.
La principessa si levò, tutti si levarono, per passare nel salone attiguo. Barbarella corse ad aprire il pianoforte che spariva sotto una vasta sciablacca di velluto rosso trapunta d’un oro opaco; e si mise a cantarellare la Tarentelle di Giorgio Bizet dedicata a Cristina Nilsson. Elena ed Eva si chinavano su di lei per leggere la pagina della musica. Ludovico stava in piedi, dietro a loro, fumando una sigaretta. Il principe era scomparso.
Ma Lord Heathfield non lasciava Andrea. L’aveva tratto nel vano d’una finestra e gli parlava di certe Coppette amatorie urbaniesi da lui acquistate nella vendita del cavalier Dávila; e quella voce stridula, con quella stucchevole intonazione interrogativa, e que’ gesti che indicavano le dimensioni delle coppette, e quello sguardo ora morto ora tagliente sotto la enorme fronte convessa, e tutte insomma quelle