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con Delfina. Appena udì il saluto di lui, ella si volse; e una fiamma le tinse il pallore. Guardarono insieme i gioielli del Settecento, le fibbie e i diademi di stras, gli spilli e gli orologi di smalto, le tabacchiere d’oro, d’avorio, di tartaruga, tutte quelle minuterie d’un secolo morto, che in quella chiara luce mattinale formavano una ricchezza armoniosa. D’intorno, i fiorai andavano offerendo in canestri le giunchiglie gialle e bianche, le violette doppie, lunghi rami di mandorlo. Un fiato di primavera passava nell’aria. La colonna della Concezione saliva agile al sole, come uno stelo, con la Rosa mystica in sommo; la Barcaccia era carica di diamanti; la scala della Trinità slargava in letizia i suoi bracci verso la chiesa di Carlo VIII erta con le due torri in un azzurro annobilito da’ nuvoli, in un cielo antico del Piranesi.
― Che meraviglia!― esclamò Donna Maria. ― Avete ragione d’esser tanto innamorato di Roma.
― Oh, voi non la conoscete ancora! ― le disse Andrea. ― Io vorrei essere il vostro duca...
Ella sorrise.
― ... compiere presso di voi, in questa primavera, un vergiliato sentimentale.
Ella sorrideva, con in tutta la persona un’apparenza men triste, men grave. Il suo abbigliamento di mattina aveva un’eleganza sobria ma rivelava la finissima ricerca d’un gusto educato alle cose dell’arte, alle delicatezze del colore. La sua giacca incrociata in forma di scialle, era d’un panno grigio pendente un poco nel verde; e una striscia di lontra ne ornava gli orli e su