Pagina:Il piacere.djvu/375


― 363 ―

Rapidamente, Elena respinse il giovine. Gli disse, con la voce un po’ velata:

― Discendi. Addio.

― Quando verrai?

― Chi sa!

Il servo aprì lo sportello. Andrea discese. La carrozza voltò di nuovo, per riprendere la via Sistina. Andrea, tutto ancor vibrante, con gli occhi ancor fluttuanti in una nebbia torbida, guardava se apparisse dietro il vetro il volto di Elena; ma non vide nulla. La carrozza si allontanò.

Risalendo le scale, egli pensava: ― Al fine, ella si converte! Gli rimaneva nel capo quasi un vapore d’ebrezza, gli rimaneva nella bocca il gusto del bacio, gli rimaneva nella pupilla il balen del sorriso con cui Elena gli aveva gittato al collo quella specie di serpe rilucente e aulente. ― E Donna Maria? ― Egli, certo, doveva alla senese l’inaspettata voluttà. Senz’alcun dubbio, in fondo all’atto strano e fantastico di Elena era un principio di gelosia. Temendo forse ch’egli le sfuggisse, ella aveva voluto legarlo, adescarlo, accendergli di nuovo la sete. ― Mi ama? Non mi ama? ― E che importava a lui saperlo? Che gli giovava? Omai l’incanto era rotto. Nessun prodigio mai avrebbe potuto risuscitare sol una minima parte della felicità morta. Conveniva a lui occuparsi della carne che era ancora divina.

Si compiacque a lungo nel considerar l’avventura. Si compiacque, in ispecie, della maniera elegante e singolare con cui Elena aveva dato sapore al capriccio. E l’imagine del boa suscitò l’imagine della treccia di Donna Maria,