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Colonna venivano clamori e si propagavano come uno strepito di flutti, aumentavano, cadevano, risorgevano, misti agli squilli delle trombe militari. La sedizione ingrossava, nella sera cinerea e fredda; l’orrore della strage lontana faceva urlare la plebe; uomini in corsa, agitando gran fasci di fogli, fendevano la calca; emergeva distinto su i clamori il nome d’Africa.
― Per quattrocento bruti, morti brutalmente! ― mormorò Andrea, ritirandosi dopo aver osservato allo sportello.
― Ma che dite? ― esclamò la Ferentino.
Su l’angolo del palazzo Chigi il tumulto sembrava una zuffa. La carrozza fu costretta a fermarsi. Elena si chinò per guardare; e il suo volto fuor dell’ombra illuminandosi al riflesso del fanale e alla luce del crepuscolo apparve d’una bianchezza quasi funeraria, d’una bianchezza gelida e un po’ livida, che risvegliò in Andrea il ricordo vago d’una testa veduta ― non sapeva più quando, non sapeva più dove ― in una galleria, in una cappella.
― Eccoci ― disse la principessa, poichè la carrozza era giunta finalmente al palazzo Fiano. ― Addio dunque. Ci ritroveremo stasera dall’Angelieri. Addio, Ugenta. Venite domani a colazione da me? Troverete anche Elena, e la Viti e mio cugino.
― L’ora?
― Mezz’ora dopo mezzogiorno.
― Va bene. Grazie.
La principessa discese. Il servo aspettava un ordine.
― Dove volete ch’io vi porti? ― domandò