Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
― 340 ― |
mutavasi in un rincrescimento non bene definito ma in fondo a cui si movevano forse, confuse con le memorie, la gelosia, l’invidia e quella suprema intolleranza egoistica e tirannica ch’era nella sua natura e che lo spingeva talvolta a desiderare quasi la distruzione d’una donna già preferita e goduta, affinchè ella non fosse più goduta da altri. Nessuno doveva bevere al bicchiere dove aveva egli bevuto una volta. Il ricordo del suo passaggio doveva bastare a riempire una intera vita. Le amanti dovevano rimaner fedeli in eterno alla sua infedeltà. Questo era il suo sogno orgoglioso. E poi gli spiaceva la publicazione, la divulgazione d’un segreto di bellezza. Certo, s’egli avesse posseduto il Discobolo di Mirone o il Doriforo di Policleto o la Venere cnidia, la sua prima cura sarebbe stata di chiudere il capolavoro in un luogo inaccessibile e di goderne da solo, perchè il godimento altrui non diminuisse il suo proprio. E allora perchè egli medesimo aveva concorso a publicare il segreto? Perchè egli medesimo aveva stimolato la curiosità dell’amico? Perchè egli medesimo gli aveva fatto un augurio? La facilità stessa con cui quella donna s’era data gli metteva ira e disgusto, e anche un poco lo umiliava.
― Ma dove andiamo? ― chiese Giulio Muséllaro, fermandosi nella piazza di Venezia.
In fondo ai varii moti dell’animo e ai varii pensieri Andrea manteneva l’agitazione in lui suscitata dall’incontro con Don Manuel Ferres, il pensiero di Donna Maria, un’imagine balenante. E appunto, in mezzo a quei contrasti mo-